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domenica 17 aprile 2016

Speranza dai bassifondi: Charlie Chaplin era un campione per gli oppressi.

Un nuovo sontuoso museo dedicato al grande attore comico apre i battenti oggi in Svizzera. Ma come fece Chaplin - un buffo ometto con bombetta e bastone - a ispirare una tale duratura devozione?

di Tim Robey

Un grandioso nuovo museo apre i battenti oggi in Svizzera, estendendosi attraverso un sito di 14 ettari sulla Riviera di Vaudois, devoto interamente a un buffo ometto con bombetta e bastone. Chaplin’s World è un sontuoso nuovo centro culturale che promette esibizioni permanenti e temporanee riguardo questo minuscolo titano dei film comici muti, anche presentazioni di film, festival e gallerie di arte grafica. 


Se fosse vivo, Charlie Chaplin avrebbe compiuto 127 anni la scorsa settimana, e potrebbe essere stupefatto nello scoprire un vasto nuovo museo in Svizzera aperto in suo onore, quanto duratura sia la sua fama e quanto di ampia portata la sia influenza sia attraverso tutti i settori dello spettacolo. La sua rivendicazione di essere il più iconico Inglese d'esportazione, se non nella storia culturale, concederemo quell'onore a Shakespeare - sicuramente nella storia del cinema.


Come è successo? Gli inizi di Chaplin sono oscuri, indigenti e difficili - la definizione vera e propria di dalle stalle alle stelle. Nato nella Londra del sud da due intrattenitori di music Hall, lui entrava e usciva dalle case famiglia persino prima che sua madre venisse rinchiusa in un manicomio. Ha calpestato il palcoscenico da amatore come un sostituto di sua sorella all'età di cinque anni, e rapidamente fece irruzione in un gruppo di ballo degli zoccoli, prima di raccogliere recensioni estremamente positive come paggio in una produzione del West End di Sherlock Holmes. Dopo aver girato il circuito del vaudeville Americano, lui fu rapidamente invitato a Hollywood, e quindi fu lanciata una delle più rapide carriere nel cinema che il mondo avesse mai conosciuto. 

Già nel 1917 - all'età di 28 anni, con una raccolta di corti molto popolari a suo favore - era nella stupefacente posizione dell'essere in grado non solo di comandare ma anche di costruire il suo studio, subito fuori Sunset Boulevard. Il critico James Agee ha spiegato come sia stato in grado di vincere questo status consacrato: "Prima che Chaplin arrivasse al cinema le persone erano contente con un paio di gag per commedia; lui aveva un qualche tipo di risata ogni secondo." La straordinaria libertà creativa di cui godette nell'inventare non è solo senza precedenti nel medium, ma senza seguiti. Controllava quasi ogni aspetto della sua produzione: scrittura, regia, produzione e montaggio di tutto il suo lavoro dalla fase iniziale. Se avesse potuto fare il lavoro del cameraman, avrebbe probabilmente fatto anche quello. Ma la fabbrica di soldi, e la ragione del suo successo globale come marchio, era il Chaplin all'altro lato dell'obbiettivo.

La figura del Vagabondo – istantaneamente emblematica, con i suoi baffi folti e ondeggiati e il passo oscillante - fece il suo debutto sullo schermo in un corto del 1914 chiamato "Charlot ingombrante" Divenne facilmente il personaggio del grande schermo più amato dell'era del muto, apparendo in dozzine di altri corti e tutti i film di Chaplin, fino a Tempi Moderni (1936). Quel film è spesso chiamato l'ultimo film muto - una tardo elogio, dato che il Cantante di Jazz venne presentato nel 1927 - perché ancora faceva affidamento sui cartelloni piuttosto che sui dialoghi per portare avanti la trama. Termina, famosamente, con il Vagabondo che scompare all'orizzonte, un icona per un'epoca già terminata del cinema che sta facendo l'inchino finale.

L'anima di questo personaggio è la chiave per capire il fascino duraturo di Chaplin. Il Vagabondo era un senzatetto, un umile, nel suo guardaroba sformato e le scarpe troppo grosse, ma la comicità del suo personaggio nasce da un costate desiderio di essere preso seriamente . spesso dandosi delle arie o fingendo una più altra stazione sociale che può credibilmente mettere a segno.  Per via dei suoi stessi umili inizi, Chaplin aveva un desiderio naturale di prendersi cura del piccoletto, ed era davvero sintonizzato con l'ingiustizia sociale: primi film come Charlot Poliziotto e L'Emigrante (entrambi del 1917) si prendono il rischio di toccare argomenti taboo come l'abuso di droga, la prostituzione e il crimine di strada. 


In contrasto con il suo grande rivale Buster Keaton – essenzialmente un clown impassibile colpito dalle circostanze – Chaplin sviluppò uno stile di calorosa commedia riguardo la lotta e il miglioramento. L'ambientazione urbana in rovina negli USA diede al suo lavoro un aria di lotta di classe con il sogno americano come suo sfondo. Ma le sue radici inglesi rimasero cruciali. Peter Ackroyd ha affermato un influenza Dickensiana nel suo ritratto empatico di immigranti e lavoratori - ovviamente, la vita agli inizi di Chaplin suona essa stessa come una sudicia variazione di Oliver Twist. 

Essere in grado di ridere del Vagabondo, attraverso tutti i suoi contrattempi e i progetti contrastati, riporta sempre il pubblico da Chaplin, ma era la compassione del suo approccio, e la persistente qualità del suo pathos romantico, che li fece innamorare tutti di lui. Negli anni cupi della Depressione, lui offriva speranza dai bassifondi. I suoi grandi doni fisici come clown non lo abbandonarono mai, nonostante la transizione nell'era del sonoro non fu facile, e alcuni critici pongano i suoi ultimi film sonori su di un piedistallo tanto quanto le incomparabili commedie mute di Luci della città (1931) o La Corsa all'Oro (1925) - con la sua famosa lunga scena comica del cercatore disperato di Chaplin che mangia la sua scarpa bollita, o facendo quel ballo con i panini. 


Comunque, la sfacciataggine del suo primo "vero e proprio" film parlato, e ultimo grande film, sarà difficile da battere. Satireggiare Hitler in Il Grande Dittatore (1940), persino prima che Pearl Harbor trascinasse l'America in guerra, fu la prova definitiva che Chaplin era un artista che prendeva dei rischi con un immaginazione politica, non solo un accogliente fornitore di commedie sentimentali.  Nel concentrare le simpatie di quel film sul povero barbiere ebreo che interpretava anche, si mise nei guai definitivamente per gli oppressi, mentre capiva che prendere in giro Hitler - così delicatamente, con quell'immagine infantile del mappamondo che rimbalza sul suo sedere - era il primo passo per disarmarlo. 

Chaplin’s World apre oggi a Cosier-sur-Vevey, Svizzera. 
Per maggiori informazioni visitate: www.chaplinmuseum.com


Cinque performer inimmaginabili senza Chaplin

Stan Laurel
Solo un anno più giovane di Chaplin, Laurel arrivò negli USA sulla stessa nave - era il sostituto di quest ultimo nel gruppo di comici Fred Karno's Army. Il suo amore per la bombetta, come quello di Hardy, sembrava una palese debito. Nonostante Laurel in realtà accusò Chaplin di rubare le sue idee, piuttosto che il contrario, era ancora ricordato per pensare di Charlie "il più grande di tutti".

Giulietta Masina
Spesso chiamata “La Chaplin femmina”, Masina era la vagabonda dagli occhi grandi, la musa e la moglie di Federico Fellini.  Famosa come la compagna brutalizzata del forzuto da circo Anthony Quinn in La Strada (1954), e come una tragica prostituta ne Le Notti di Cabiria (1957), apportò a questi due ruoli chiavi una rugiadoso pathos di pantomima che è indubitabilmente Chaplinesca.

Jacques Tati
Il nome francese per il Vagabondo di Chaplin è “Charlot”, che trova un eco nell'incarnazione di Tati del maldestro Uomo qualunque, M Hulot.  Tati fissa i cambiamenti – scivolando piuttosto che ondeggiando, pipa per il bastone, un Homburg piuttosto che una bombetta. Ma il debito è chiaro, in quanto ci sono paralleli tra Playtime (1967) e Tempi Moderni; The Illusionist (2010) e Luci della ribalta.

Rowan Atkinson
Non tanto Blackadder, ma specificatamente Mr Bean, una creazione che  è ovviamente Chaplin-via-Tati – il brutto anatroccolo che semplicemente non può fare a meno di cacciarsi nei guai. Atkinson, che conta Chaplin come un influenza infantile, ha fatto molto per tenere viva la tradizione della comicità muta, mentre mentre perfezionava il personaggio del suo sfortunato fantoccio come un insofferente egoista, nerd in tweed. 

Johnny Depp
Nel suo film del 1993 Benny & Joon, Depp – che adora interpretare personaggi muti nella sua carriera – sfoggia un cappello nero e interpreta un riff di un minuto sulla famosa danza dei panini ne La Corsa all'Oro. Nessun altro che un grande ammiratore di Chaplin avrebbe potuto realizzare questa cosa, persino se è persino più prigioniero, forse, dell'impassibile di Buster Keaton, è più il suo tipo depresso di slapstick muto. 

TRADUZIONE a CURA di DAVIDE SCHIANO DI COSCIA
ARTICOLO ORIGINALE:telegraph.co.uk/

venerdì 1 febbraio 2013

Dopo Mezzanotte di Davide Ferrario


                                             Il cinema muto come stile di vita



La Trama
Il taciturno Martino (Giorgio Pasotti) lavora come custode notturno del Museo Nazionale del Cinema e nella sua vita ci sono due grandi passioni. Una è il cinema di cui lui ha una visione del tutto peculiare molto legata alle origini. Amanda è l'altra passione di Martino. Amanda (Francesca Inaudi), delusa dalla sua vita e insoddisfatta del suo rapporto mordi e fuggi con il suo ragazzo, lavora in un fast food dove Martino passa ogni sera. Il fidanzato di Amanda, l'Angelo (Fabio Troiano) di mestiere fa il ladro d'auto e la sua idea di relazione, fugace e occasionale, non coincide con quella della sua fidanzata. Amanda esasperata dalle continue vessazioni del suo capo gli scaraventa per errore dell'olio bollente addosso e fugge via finendo per rifugiarsi all'interno del museo del cinema. La vita solitaria di Martino verrà sconvolta dall'arrivo di Amanda che a sua volta si troverà a dover scegliere tra lui e l'Angelo.

Il Regista
Dietro la macchina da presa troviamo Davide Ferrario, regista, sceneggiatore e scrittore che prima di approdare al cinema scriveva sulla rivista Cineforum.
Ferrario si alterna tra film e documentari e anche le sue pellicole di "finzione" trovano spesso ispirazione in fatti reali o in contesti sociali esistenti.
Con Dopo Mezzanotte, Ferrario mette in luce il suo amore per il Cinema dei Lumiere e per le comiche di Buster Keaton.

Il Cast
Giorgio Pasotti interpreta Martino, un personaggio quasi da comica del muto: taciturno, timidissimo, impacciato che comunica principalmente con gli occhi e con il corpo. Martino è un anacronismo vivente legato a un mondo che non esiste più o che molto probabilmente non è mai esistito. Pasotti offre una delle sue interpretazioni migliori dimostrando di saper essere espressivo anche a prescindere dalla voce. Nei panni di Amanda troviamo Francesca Inaudi che ritrae una ragazza disillusa ma non incattivita che lotta per sopravvivere e per trovare una briciola di felicità, come ce ne sono tante. Il terzo componente dell'insolito triangolo amoroso è L'Angelo un personaggio sornione e sopra le righe, interpretato da Fabio Troiano. Nell'inedito ruolo di voce narrante troviamo Silvio Orlando, efficace e ironico.

L'incontro fra Martino e Amanda


Colonna Sonora
Dopo Mezzanotte si distingue per una particolarissima colonna sonora in cui troviamo brani de la Banda Ionica, un gruppo che utilizza le marce e le composizioni che accompagnano le processioni religiose. La colonna sonora è arricchita anche dalla partecipazione di Fabio Bravovero, membro fondatore dei Mau Mau. A completare l'aspetto musicale c'è Daniele Sepe, musicista partenopeo con un particolarissimo stile che fonde diversi generi in un atteggiamento che ricorda molto da vicino l'ironia e l'istrionismo di Frank Zappa.
Inaspettato un Ricominciamo di Adriano Pappalardo, utilizzato in modo spiritoso.

Scene Cult
Il film che Martino mostra ad Amanda. Il finale "Chapliniano"



Personaggi Cult
Martino, custode notturno del museo del cinema e novello Buster Keaton.

...e Quindi?
Dopo Mezzanotte è un film che vive di una dimensione tutta sua, a metà strada tra il cinema moderno e quello muto delle origini e i personaggi, seppure ben concepiti e recitati faticano a trovare una loro dimensione. Dopo Mezzanotte soffre di un eccessiva disomogeneità della narrazione in quanto non ci viene offerto un racconto fluido e continuo ma una serie di "cornici", una serie di quadretti in cui si cerca di delineare suggestioni e sensazioni, a volte non riuscendoci.
Davide Ferrario realizza un film sul cinema, dipingendo dei personaggi interessanti cui avrebbe giovato un po' d'approfondimento in più. In conclusione, non un brutto film ma un film piacevole ma mancante di quel qualcosa che ne avrebbe fatto una pellicola di culto.

Le Ultime parole famose
"La Mole Antonelliana è l'edificio più famoso di Torino, lo hanno anche messo sulle nuove monete ma sugli spiccioli da due centesimi per cui non si capisce se i torinesi debbano essere contenti o incazzati"
il Narratore Silvio Orlando introducendo il luogo dove si svolgerà la storia